Il problema della fatica: nuove tesi e conseguenze pratiche
Thomas Bossmann
L’origine della fatica prodotta da una attività sportiva intensa dipende dal tipo di sport e può interessare processi di natura nervosa centrale e di natura muscolare. Se costante o addirittura cronica rappresenta un rischio sia per quanto riguarda gli obiettivi sportivi sia per la salute fisica e psichica dell’atleta. Una migliore comprensione delle sue cause e dei loro meccanismi d’azione potrebbe servire alla verifica di adeguati parametri per il controllo dell’allenamento e per la loro utilizzazione durante l’allenamento stesso.
In base a queste considerazioni si riassumono le tesi principali di un approccio innovativo al problema della fatica che integrano e mettono in discussione le ipotesi attuali sui fattori che la causano. Il controllo dell’allenamento nello sport d’alto livello ha per obiettivo quello di utilizzare in modo ottimale la capacità biologica di carico degli/delle atleti/e. Se si superano costantemente i limiti individuali della capacità di carico di un/una atleta si avranno conseguenze negative sulla sua capacità di prestazione sportiva.
Allenatore e atleti si trovano, quindi, di fronte al problema di conoscere quali siano i meccanismi fisiologici, biochimici e psicologici che determinano la fatica e di conseguenza la capacità di prestazione. Queste conoscenze sono fondamentali per risolvere il problema di quali siano quei parametri misurabili che possono essere utilizzati con successo nel controllo dell’allenamento in modo tale da ottimizzare l’allenamento stesso.
Noakes (2000) nel suo lavoro ci ha fornito un panorama su quei sistemi fisiologici e psicologici che, ognuno in modo diverso, mostrano fenomeni di adattamento determinati dalla fatica e potrebbero essere responsabili della comparsa di peggioramenti della performance.
I sistemi esposti a fatica - Processi cardiovascolari
Generalmente si suppone che le massime prestazioni sportive nel settore dell’endurance siano limitate da un insufficiente apporto di ossigeno alla muscolatura che lavora (Kasikcioglu, Oflaz, Oncul, Kayserilioglu, Umman, Nisanci 2008). Per questa ragione si produrrebbe un accumulo di lattato e a causa di un incremento degli ioni idrogeno nel muscolo si determinerebbe una acidificazione del muscolo. Il processo di glicolisi rallenta, gli ioni calcio sono soppressi dalla troponina, peggiorando il processo della contrazione (Klinke, Pae, Silbernagl 200). È probabile che la massima capacità di consumo d’ossigeno (VO2max) rappresenti il fattore decisivo che limita la prestazione nei carichi di endurance.
Noakes (2000) però, vede la causa dell’interruzione di un carico non in un debito muscolare di ossigeno, ma in un meccanismo di “governo” centrale (“central governor”). In un carico massimo e con il deficit di ossigeno che esso provoca, il cuore rischia di non disporre più del rifornimento di sangue necessario per il suo funzionamento e di conseguenza avrebbe bisogno di un meccanismo adeguato di difesa che regolerebbe e abbasserebbe tempestivamente il rendimento della pompa cardiaca, che porterebbe così ad un eccesso di acidità nella muscolatura impegnata nel lavoro.
L’Autore contraddice, dunque, l’opinione corrente che sarebbe l’eccesso di acidità provocata nel muscolo dal deficit di ossigeno che di per se causerebbe la fatica e ricorda come in altitudine carichi che determinano esaurimento debbono essere interrotti anche quando i corrispondenti valori di lattato sono bassi – quindi non esiste un eccesso di acidità della muscolatura.
La trasformazione dell’energia
Un altro possibile fattore che limita la performance nell’attività sportiva potrebbe essere l’insufficiente disponibilità di substrati energetici. La copertura del bisogno di ATP della muscolatura che si contrae deve essere garantita con una rapidità adeguata (nei carichi di elevata intensità) e abbastanza a lungo (nei carichi di lunga durata) (cfr. Noakes 2000). Per questa ragione sia una carenza di ATP nella cellula muscolare, sia un esaurimento delle riserve energetiche che impedisce una risintesi dell’ATP possono determinare la fatica (cfr. Nimmo, Ekblom 2007).
I processi di controllo centrali
Fatica centrale indica riduzione temporanea di processi nervosi centrali che vengono modulati dai centri integrativi del SNC (corteccia sensoriale, midollo spinale, cervelletto, motoneuroni, placche motorie). Gli impulsi nervosi inviati alla muscolatura che lavora si riducono, si produce un rallentamento dell’attività delle fibre muscolari e una riduzione del numero delle fibre attivate (Anish 2005, Noakes 2000). Secondo Noakes (ibidem) ciò viene provocato da un cambiamento della concentrazione di serotonina (5-HT) e probabilmente di altri neurotrasmettitori come dopamina e acetilcolina nel cervello(cfr. Anish 2005; Meeusen 1999; Meeusen, Watson, Hasegawa, Roelants, Piacentini 2007).
Lo stato di benessere psicofisico
Nella scienza dell’allenamento e nella psicologia dello sport esiste un consenso crescente che lo stato d’animo e mentale di un atleta peggiora con il prodursi di un eccesso di carico o di una sindrome da superallenamento e con i cambiamenti dello stato funzionale vegetativo (Meeusen et al. 2006; Nederhof, Zwerver, Brink, Meeusen, Lemmink 2008). In numerosi studi sul tema del superallenamento lo stato psichico viene considerato un parametro sensibile per prevenire eccessi di carico.
Per saperne di più: SDS Scuola Dello Sport, 103. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2014.