Nuoto: la respirazione nei bambini

Di Giuseppe Bovi





Prendere confidenza con l’acqua, galleggiare in più modi, muoversi in più direzioni rappresenta un insieme di sensazioni alquanto piacevoli, ma se non si apprende a respirare correttamente la fase di avanzamento risulterà poco agevole e discontinua e il procedere in queste condizioni provocherà un dispendio di energie esagerato.
Dunque, se per un principiante respirare in acqua rimane un obiettivo di importanza basilare, per un bambino coincide con una conquista complessa, legatissima al processo di costruzione della coscienza di sé


Possiamo azzardare che un suo continuo progredire dipenda da una successione di fenomeni ben articolati tra loro quali: una assoluta affinità con l’ambiente, una simbiosi irrinunciabile con l’acqua, uno stadio evolutivo adeguato che renda possibile nella propria strutturazione un adattamento funzionale di organi e apparati al fine di permettere l’acquisizione psico-motoria del gesto. L’obiettivo, decisamente ambizioso, è respirare senza alterare la propulsione determinata dall’azione simultanea di gambe e braccia rispettandone la sincronia e facendo in modo che la posizione del corpo sia il più possibile orizzontale e idrodinamica. Ma per attività complesse come la nostra, per un bambino di cinque anni, di sei, o di sette, qual è la capacità di eseguire movimenti combinati tra arti superiori, inferiori, coordinati con la rotazione del capo? Non è facile dare una risposta esauriente ad una simile domanda, ma è molto realistica l’idea che: “il bambino più avrà agito, più sarà riuscito a rievocare traiettorie, più avrà nozioni riguardo all’inerzia, la resistenza, il ritmo dei movimenti, maggiore sarà la consapevolezza del rapporto esistente tra le parti del suo corpo e i piani dello spazio.”
In altre parole l’apprendimento nel suo procedere migliora nella misura in cui le acquisizioni più ampie possibili servano da base a quelle successive. Allora, “anche un ostacolo sicuramente tra i più complessi come quello riguardante la sensibilizzazione delle due fasi della respirazione (inspirazione ed espirazione) assume un carattere diverso. Diviene più emozionante ed attraente quando si utilizzano forme di esercitazione che meglio si possono definire come esperienze educative piuttosto che prestazioni tendenti a migliorarne le caratteristiche specifiche. Lo scopo è far in modo che il fanciullo non smetta di trovare piacere, voglia, entusiasmo nella realizzazione del compito che gli è stato affidato. 


Un conto è rispondere alle risposte didattiche dell’istruttore attraverso singole azioni mirate al perfezionamento dell’abilità specifica, un altro è favorire l’esercizio di tutte le aree della personalità del bambino: motoria, cognitiva, affettiva, relazionale, esplorativa, ecc. L’espirazione, che delle due fasi riteniamo sia lo scoglio più arduo da superare, non potrà ridursi al tipico, scarno, invito a fare le bollicine. La risposta risolutiva sarà più motivante, più intensa in quanto permetterà di effettuare una espirazione come volete voi, quando lo decidete voi, perché lo volete voi, non prima però di aver consultato e concordato i modi di agire con i vostri amici pesci. Il protagonista dell’azione finalmente imparerà ad apprendere autenticamente, non tanto attraverso il solito addestramento formale, quanto attraverso la ricerca personale di informazioni. In più, immedesimandosi in una avventura piena di sorprese emozionanti parteciperà all’avvenimento con gioia, con trasporto.” 


È noto che il problema d’uso dei principi didattici riguardanti la respirazione trova in numerosi allievi notevoli difficoltà. Solo la novità, la scoperta individuale, l’intuizione, la spontaneità, il confronto con se stessi e i propri compagni, offrono un insieme di opportunità che permettono di trasformare una realtà ritenuta difficile da affrontare in un gioco piacevole, motivante, ricco di sollecitazioni. Il giocare con la respirazione porta ad apprendere percezioni cinestetiche più ampie, più dettagliate, e tiene avvinto il bambino in un intreccio continuo di sorprese, di curiosità, di voglia di conoscere. Come è lontana una simile concezione dalla tipica meccanica della respirazione che vuole il fanciullo in atteggiamento prono, mani in appoggio sulla tavoletta, viso immerso in acqua, in continuo ed alternato movimento degli arti inferiori! La difficoltà di assunzione di un simile atteggiamento, di per sé tutt’altro che semplice, viene accentuata dalla richiesta di coordinare l’intera azione con un’efficace rotazione del capo dal lato in cui si effettua la respirazione. A volte, non solo non ci si accontenta di questa esecuzione, ma si pretende anche l’esatta posizione della testa in modo che si possa respirare sotto il normale livello dell’acqua. Vorremmo che questa nostra visione di una pratica molto comune nei nostri ambienti non venisse confusa con un giudizio negativo verso tali forme di esercitazione che, peraltro, in uno stadio avanzato del nostro lavoro trovano la loro utilità. É la scelta del momento che non ci convince. È probabile che nell’osservatore esterno sorga il più che lecito dubbio se l’azione in oggetto rientri tra quelle raccomandabili per un bambino o si identifichi in maggior misura con un prematuro addestramento troppo finalizzato. 


L’espirazione, che avviene emettendo lentamente ma continuamente aria dalla bocca e dal naso, risulta essere la fase più complicata. Se i fanciulli non vengono indotti a rendersi conto che questo momento non può coincidere con un’espirazione esplosiva né con un’espulsione d’aria troppo scarsa, sarà veramente arduo spingerli ad effettuare una espirazione ritmica che prevede un deciso aumento di emissione di aria solo all’ultimo momento, in modo di allontanare acqua dalla bocca e dal naso.
Riteniamo che per giungere ad un autentico possesso di simili abilità sia necessario ricorrere non tanto all’uso di modelli specifici di riferimento, ma far leva su di un’arma di sicura efficacia: l’inventiva degli stessi allievi. Utilizzare un’ampia percentuale di idee motorie proprie, si rivela una soluzione molto utile specialmente quando si affrontano compiti acquatici più precisi. È davvero interessante ciò che sostiene Geron a pagina 69 del famoso testo di E. Hahn - L’allenamento infantile, edito dalla SSS Roma, in quanto perfettamente rapportabile al nostro settore di competenza. Egli, infatti, così si esprime: “gli esercizi alla trave richiedono capacità di stare in equilibrio, se tali abilità non sono state abbastanza esercitate senza attrezzi, l’esercizio voluto non riuscirà. Le caratteristiche motorie fondamentali dell’azione sopraccitata dovrebbero essere esercitate prima da sole, senza una loro utilizzazione speciale necessaria nell’apprendimento del movimento designato. Pertanto, usufruendo di vari esercizi a carattere prevalentemente ludico, proseguendo poi attraverso forme più specifiche di esercitazione, si dovrebbe giungere alla realizzazione del gesto tecnico prescelto.” Ebbene, trasferendo il concetto nel nostro ambito specifico, abbiamo accertato che una pratica che privilegiava una serie di situazioni varie e molto divertenti attinenti al tema stesso della respirazione si rivelava la più adatta nel creare le premesse indispensabili per la successiva conquista di competenze riferibili, nel nostro caso, al dosaggio dell’aria da espellere e di quella da inspirare. Un motivo in più per mettere in evidenza che inspirazione ed espirazione, trasportate poi nelle forme specifiche di esercitazione, non trovavano particolari disagi né impedimenti.
Sull’onda di un simile riscontro, è stato inevitabile adattare l’apprendimento delle due fasi della respirazione ad un sistema in grado di cogliere i motivi fondamentali che spingono l’allievo a fornire, sempre più autonomamente, la propria disponibilità. Anche A. Hotz a pagina 83 del suo libro L’apprendimento qualitativo dei movimenti edito dalla SSS Roma, ribadisce che “la disponibilità alla prestazione è un presupposto della prestazione stessa che riunisce in sé non soltanto componenti emotive e volitive, ma anche fattori cognitivi”.
Se si vuole, in fondo anche Pestalozzi ha riconosciuto questi rapporti e queste possibilità ed ha chiamato questi tre campi fondamentali testa, cuore e mano. Egli voleva sostenere che “le possibilità di influenzare la disponibilità all’apprendimento e alla prestazione dell’allievo che si offrono all’insegnante sono tre: lo si può motivare convincendolo (approccio cognitivo-testa/conoscenza); lo si può sollecitare dal lato dei suoi sentimenti (approccio affettivo-cuore/impulso); gli si può spiegare chiaramente nella pratica cosa ci si attende che faccia (approccio legato all’azione nel nostro caso inspirazione ed espirazione/esecuzione)”.

Per saperne di più: G. Bovi, F. Bovi. Educazione acquatica: tutti i colori di una fantastica avventura per l'infanzia. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2014.