Lo sport femminile nei suoi diversi aspetti

Di Massimo Pistoni




Parlare di sport al femminile non è per niente facile. Solamente qualche decennio fa le donne non potevano ancora competere in diverse discipline sportive, basti pensare che la maratona femminile fu introdotta regolarmente soltanto alle Olimpiadi del 1984. L’argomento pseudoscientifico in base al quale il fisico femminile era ritenuto poco adatto ai grandi sforzi e alle forti sollecitazioni era il fondamento di tali, discutibili scelte. In tempi ancora più remoti era convinzione medica che le donne non dovessero praticare attività sportive al fine di tutelare gli organi riproduttivi: in tal modo, esse venivano relegate a svolgere attività ludiche o solamente alla pratica delle discipline “leggere”. Questo atteggiamento discriminatorio, basato più sull’ignoranza (si temeva che le donne non fossero capaci di prestazioni paragonabili a quelle maschili) che sull’apporto di eventuali evidenze scientifiche, ha fortemente rallentato l’interesse degli studiosi che non ritenevano essenziale concentrarsi su certe tematiche. Oggi agli sport “in rosa” vengono concessi gli stessi diritti degli sport maschili e ciò ha segnato, nel giro di pochi anni, un’importante svolta nel mondo degli studi e delle conoscenze che, anche se in piena e continua evoluzione, comincia ad offrire significative risposte nell’ambito della metodologia di allenamento. Questo non significa che la letteratura attuale sia  definitivamente pronta a dare il suo contributo, più semplicemente essa può essere considerata un’importantissima alleata nella programmazione sportiva.


Lo sport in rosa
Allenare al femminile risulta più complicato di quanto possa sembrare e certamente più difficile che seguire il settore maschile. Le varianti che entrano in gioco, rispetto a quest’ultimo, sono maggiori e molte riguardano l’aspetto fisiologico dell’individuo. Non mi riferisco a quei cambiamenti palesemente estetici (anche se importanti) dovuti alla crescita che in entrambi i sessi, pur con tempi differenti, si manifestano esplicitamente, bensì ai dimorfismi più celati che, nel periodo puberale, portano di fatto un’adolescente a diventare donna. In questo particolare momento della vita si presenta una complessa serie di mutazioni che causa non solo disagi di ordine fisiologico, ma anche problemi di natura psicologica che non vanno assolutamente sottovalutati. Per questo l’allenatore non può lasciare niente al caso e deve ponderare ogni elemento in suo possesso. È suo compito saper decifrare i periodi che contraddistinguono le varie fasi della crescita - individuando le trasformazioni biologiche ad essi connessi – e saper interpretare le modificazioni caratteriali, alimentari e prestative: l’operatore deve saper attenzionare con competenza tale processo evolutivo per mantenere vivi i legami e le motivazioni che spingono una praticante sportiva a continuare la disciplina che frequenta. Tanto per cominciare bisogna precisare che con il termine donna si  indicano tutte le atlete che hanno completato la maturazione sessuale. Questo evento varia in relazione al soggetto, ma è ragionevole indicare quell’arco di tempo anagrafico che oscilla tra i 13 ed i 15 anni. È comunque impensabile considerare l’atleta una persona “matura” soltanto in base a tale, giovane età. L’evoluzione biologica non cammina di pari passo con quella emotiva. Se da un punto di vista fisico l’atleta potrebbe già essere indirizzata a determinate sollecitazioni, dal punto di vista psico-sociale il percorso è ancora pieno di incognite. Per chi deve elaborare sedute di allenamento è necessario, in primo luogo, puntare su quelli che sono da considerare i dati certi al fine di tracciare un programma ben delineato nell’ottica del profilo tecnico-sportivo.
Per sviluppare un quadro della situazione che sia il più preciso possibile è essenziale accumulare sistematicamente tutte le informazioni disponibili. Il fine è capire come e quando prendere decisioni di carattere tecnico, preventivo o psicologico, decisioni fondamentali per impostare una programmazione sicura, ma certamente – lo ribadiamo con forza – non esente dal rischio di imprevisti.


Tipologie di sport
Raggiungere e, conseguentemente, come raggiungere gli obiettivi presenti nella programmazione costituiscono l’essenza del lavoro e la preoccupazione primaria di ogni allenatore. La risposta è intrinseca alla disciplina che si allena e alla categoria di atleti che si ha in consegna. In relazione all’età, si seguono dei programmi più o meno definiti per tutelare l’incolumità dell’individuo, la cui salvaguardia deve restare, sempre e comunque, la questione fondamentale per l’operatore. In poche parole, la qualità e la quantità del “lavoro” va di pari passo con l’accrescimento fisico e psichico del praticante.
Tuttavia esistono sport nell’ambito dei quali viene richiesta una specializzazione precoce ed in cui tali precauzioni rischiano un criticabile ridimensionamento. È essenziale, a questo proposito, la distinzione tra discipline individuali e di squadra. È naturale che, nelle discipline singole l’elemento della specializzazione è più accentuato e spesso si presenta come fonte di stress per l’atleta, mentre negli sport di squadra prevale certamente l’aspetto ludico.
Occorre moderazione: non anticipare i tempi, senza tralasciare le importanti nozioni relative agli schemi motori. Se ogni operatore ed ogni società pensassero di più agli atleti/e nell’integrità del loro essere persone, piuttosto che ai traguardi da raggiungere, le discipline sportive, a mio avviso, non sarebbero tutte così lontane tra loro! La precedenza, per tutti coloro che consacrano la propria vita allo sport, deve fondarsi sulla tutela dell’atleta e non sull’ambizione personale e la spregiudicatezza. Pensiamo per un momento ad una seduta di allenamento del settore giovanile nel corso della quale, almeno all’inizio, vengano insegnati, indipendentemente dalla disciplina praticata, i fondamenti dell’attività motoria generale. Immaginiamo una realtà sportiva dove i ragazzi/e vengano avviati all’educazione del fisico nella sua globalità senza stringere subito le maglie dell’attività specializzante.
Quanta linfa potremmo attingere da un vivaio allenato multilateralmente e quanto maggiore sarebbe il potenziale che potremmo individuare? Quanti abbandoni potremmo evitare, se un giovane sportivo fosse preparato in senso più ampio e venisse indirizzato ad un’altra attività rispetto a quella di partenza, piuttosto che lasciato a se stesso? Non ne gioverebbe il mondo sportivo nella sua totalità? Se poi rivolgessimo tali attenzioni all’universo femminile, le risposte ai preliminari e agli esercizi propedeutici si dimostrerebbero ancora più interessanti. I tempi che caratterizzano lo sviluppo delle ragazze sono più brevi rispetto a quelli che segnano lo sviluppo maschile. In questa delicatissima
fase, sono molti i cambiamenti che si manifestano ed è preciso compito dell’allenatore studiarli in profondità.
Le strategie da mettere in pratica nel contesto dello sport femminile così rispondono a tempi più veloci e sono tutte decisive per l’ulteriore svolgimento della maturazione tout court delle ragazze, non solo della loro carriera sportiva. 


La relazione con l’allenatore
È necessario ribadire come l’attività di allenatore muti sensibilmente sia in base al sesso degli sportivi da preparare, sia in base ai caratteri della disciplina da allenare. È sostanzialmente diverso essere allenatore di sport individuali da essere allenatore di sport di squadra. Al contempo, tale ruolo assume una diversa connotazione se ad incarnarlo sono un uomo o una donna; andiamo ad osservare le peculiarità relative a tali situazioni, solo all’apparenza banali.


Atleta e allenatore negli sport individuali
Il rapporto che si stabilisce tra atleta ed allenatore è, nella maggioranza dei casi, molto solido. Il tempo che si passa insieme durante l’arco della giornata e la frequenza delle sedute settimanali è in media più alto rispetto agli sport di gruppo. Degli allenatori uomini si dice che sono più burberi e brontoloni. Alzano spesso la voce, tendono forse ad essere più autoritari, ma dal punto di vista pratico, sono in genere più organizzati. Pretendono molto in allenamento ma, prima del lavoro, danno più informazioni riguardo alla strutturazione della seduta e si soffermano maggiormente sull’aspetto tecnico della seduta. Le allenatrici, a loro volta, sono più pacate, con un’accentuata predisposizione all’ascolto, e sono spesso provviste di capacità comunicative superiori rispetto agli uomini.
In entrambi i casi, le atlete dichiarano di voler essere seguite da persone competenti ed affidabili. Il tecnico deve essere razionale nell’affrontare le varie situazioni che si prospettano. Come si suol dire: “Carota e bastone!”.
Non a caso, le atlete donne, pur mostrandosi fragili e sensibili, sono capaci di mantenere notevoli livelli di concentrazione e fatica.


Atleta e allenatore negli sport di squadra
Un allenatore maschio, all’inizio di un’avventura in una squadra femminile, può essere visto con sospetto se precedentemente ha avuto esperienze soltanto con gruppi di atleti uomini. Lo sport maschile esprime ritmi e tensioni avanzate se confrontato a quello del gentil sesso. Nonostante non si possa negare tale aspetto, è desiderio delle donne che questo non venga sottolineato o perlomeno che il mister non ne palesi continuamente le differenze. Ciò avviene se chi allena, accetta di seguire un gruppo di ragazze solo allo scopo di ottenere una gratificazione economica.
Laddove la scelta sia stata per passione e crescita professionale, il rapporto atlete/allenatore si dimostrerà più aperto e collaborativo. Infatti, chi accetta di allenare incondizionatamente una squadra femminile risulterà più convinto e motivato rispetto a coloro che sono mossi solamente dal denaro. Indipendentemente da queste prerogative, il coach deve assolutamente cambiare metodi ed attitudini nel porsi dinanzi alla squadra femminile che andrà ad allenare. In modo particolare, egli dovrà:
• Presentarsi con umiltà, senza perdere il suo potere decisionale. È il nuovo allenatore ad entrare per ultimo nel gruppo di lavoro, non le atlete. Ciò non significa che il tecnico non debba sottolineare la sua autorità, sempre e comunque nell’ambito di un rapporto vivo con le ragazze, fatto di condivisione e discussione.
• Rivalutare i carichi di lavoro nell’ottica della prevenzione traumatologica. Come abbiamo visto, le donne possiedono caratteristiche fisiche e fisiologiche lontane da quelle maschili.
• Cambiare stile di interazione, sia dal punto di vista della comunicazione, relativamente ai programmi delle sedute, sia dal punto di vista della relazione con l’atleta, intesa come dialogo sulle varie problematiche personali, al fine di guadagnarsi la stima e il rispetto di tutte le allieve.



Per saperne di più: Adattamenti di potenziamento muscolare nelle fasi di crescita femminile nello sport. Massimo Pistoni. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2015.