L'invecchiamento e il controllo cerebrale dell'esercizio

Di Gian Nicola Bisciotti






Uno dei principali problemi che si possono riscontrare nell’ambito della ricerca sul fenomeno dell’invecchiamento, è rappresentato dall’obiettiva difficoltà che si incontra quando si cerchi di differenziare i processi fisiologici legati all’invecchiamento stesso e quelli che invece possono essere imputabili ad un’involuzione patologica. Aldilà di questa innegabile difficoltà, la maggioranza degli Autori concorda sul fatto che è possibile tentare di rallentare il naturale declino delle funzioni sensomotrici, al quale inevitabilmente si va incontro nel corso dell’invecchiamento, a patto di adottare una strategia multivariata basata essenzialmente sui seguenti punti (hedden e Gabrieli, 2004):
- mantenere un’attività intellettuale di un livello impegnativo e costante;
- effettuare regolarmente un’attività fisica di tipo aerobico;
- adottare delle strategie comportamentali e degli stili di vita atti alla riduzione dello stress cronico, il quale è associato alla produzione di glucocorticoidi che, a loro volta, alterano la funzione dei neuroni dell’ippocampo;
- integrare il regime dietetico con acidi grassi poli e mono insaturi, vitamina E, polifenoli ed antiossidanti. 


La prevenzione dell'invecchiamento cerebrale
In fisiologia vale il detto “si perde ciò che non si usa”: questa semplice regola è vera tanto per gli “umili” muscoli quanto per “l’aristocratico” cervello. Da tempo ormai le neuroscienze hanno individuato delle strategie ben precise per ottenere un miglioramento delle nostre funzioni cognitive anche in età senile (o comunque almeno preservarle). Il cervello è composto da circa 100 miliardi di neuroni, tra loro connessi attraverso le ramificazioni dendritiche, il cui numero aumenta in funzione dell’apprendimento di nuove informazioni ed abilità. Il numero dei neuroni però diminuisce in funzione dell’invecchiamento (anche se sembra che un certo numero di neuroni venga prodotto giornalmente nell’area dell’ippocampo), fenomeno che comporta un progressivo deterioramento intellettivo. A causa di questo impoverimento neuronale, il cervello perde, nel periodo compreso tra i 35 ed i 70 anni, circa il 10% del proprio peso. Le aree cerebrali maggiormente coinvolte in questo processo involutivo sono quelle frontali, che controllano le attività logicoprocedurali e temporali e che sovrintendono ai meccanismi della memoria.


Ormai è inequivocabilmente assodato che stimolare l’apprendimento di nuove abilità, e comunque impegnare la mente in modo assiduo e costante, rappresenta una delle migliori strategie per mantenere intatte le proprie facoltà intellettive, anche in funzione della prevenzione di terribili patologie come il morbo di Alzheimer. Anche il versante alimentare può contribuire al rallentamento dell’invecchiamento cerebrale: sostanze come le vitamine b1-b6-b12, E, l’acido folico, gli Omega 3 e 6 ed il manganese risulterebbero essere di fondamentale importanza per mantenere i neuroni in un ottimo stato di funzionalità, così come d’altronde l’integrazione con sostanze antiossidanti in grado di controllare l’effetto dei radicali liberi. Anche un regime alimentare ipocalorico mostrerebbe un effetto anti-aging a livello cerebrale, ma non solo. È infatti ormai universalmente noto come la riduzione dell’apporto calorico induca, nel modello sperimentale animale, un aumento dell’aspettativa media di vita grazie ad una riduzione dei processi legati al fenomeno dell’invecchiamento.
Sempre su modello animale è stato dimostrato che un giorno di digiuno settimanale può avere un effetto anti-invecchiamento e di prevenzione nei confronti dell’insorgenza di alcuni tipi di neoplasie; i meccanismi attraverso cui il digiuno determinerebbe questi effetti protettivi potrebbero essere ricondotti ad una diminuzione dello stress ossidativo e ad un aumento dei meccanismi di riparazione molecolare. Anche un moderato ma costante esercizio fisico di tipo aerobico può contribuire a ritardare l’invecchiamento cerebrale, in questo caso probabilmente grazie ad una maggior ossigenazione cerebrale; inoltre l’esercizio fisico può avere un’influenza positiva a livello delle interconnessioni nervose e dell’integrità neuronale grazie alla liberazione di sostanze chimiche, come gli estrogeni, il fattore di crescita insulinosimile, la serotonina e la neurotrofina.


Da tutto questo se ne può trarre che la prevenzione dell’invecchiamento cerebrale si basa su di una strategia di tipo multifattoriale, articolata sulla base di un corretto stile di vita, su attività cognitive stimolanti ed impegnative e su di una corretta alimentazione.
Ma soprattutto un concetto sta riscontrando sempre più consensi in campo scientifico: il fatto che la sfera cognitiva e quella motoria non costituiscano due unità tra loro distinte ma come, al contrario, interagiscano tra loro  vicendevolmente in maniera complessa. Gli effetti dell’esercizio fisico sul fenomeno dell’invecchiamento debbono pertanto essere rivisitati in funzione di una chiave di lettura “motorio-cognitiva” di tipo integrato, che coinvolga anche la sfera sensoriale e quella emozionale.


Gli effetti positivi dell’attività fisica, in particolare di quella aerobica, sulle funzioni cognitive sono ad oggi universalmente e pienamente riconosciuti (Colcombe e coll., 2003). L’allenamento aerobico infatti determina un incremento delle sostanze neutrofiche di origine cerebrale (Neeper e coll., 1995) che, a loro volta, determinano un aumento del tasso di sopravvivenza dei neuroni (barde, 1994), lo sviluppo delle sinapsi e la plasticità cerebrale (Lu e Chow, 1999), oltre allo sviluppo di nuovi neuroni (Van Praag e coll., 1999). In buona sostanza possiamo asserire che l’attività fisica di tipo aerobico è correlata ad un rapido ed efficace fenomeno di angiogenesi che favorisce un miglioramento dell’ossigenazione a livello cerebrale, correlato a sua volta a tutta una serie di fenomeni adattivi positivi. Nell’ambito della ricerca sul tema degli effetti dell’invecchiamento sul controllo cerebrale dell’esercizio, una delle principali problematiche è rappresentata dal fatto che l’invecchiamento delle strutture cerebrali non avviene in modo omogeneo (Chéron e bengoetxa, 2006), in altre parole esiste una discronia nei tempi d’invecchiamento, e  quindi di deterioramento, delle varie aree cerebrali; ad esempio, il volume della corteccia visuale primaria non viene in pratica modificato nel corso degli anni, mentre la corteccia pre-frontale e l’ippocampo presentano, nel corso della vita, una riduzione indubbiamente maggiore (Raz e coll., 2004); ed ancora il cervelletto mostra un riduzione pari a circa il 2% ogni decade di vita, mentre nessuna riduzione particolare sarebbe evidenziabile a livello delle regioni del ponte nel corso degli anni (Raz e coll., 2001).



Per saperne di più Strength & Conditioning n°3. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2012.