Ancora sullo stretching
Di Mario Gulinelli
Lo stretching, dopo avere goduto di una popolarità che ne ha fatto uno dei metodi fondamentali di riscaldamento, di defaticamento, di sviluppo della mobilità articolare e chi più ne ha più ne metta, sta passando un momento in cui, soprattutto grazie a recenti ricerche, ne viene sempre più messo in discussione non solo il suo ruolo preminente nello sviluppo della mobilità articolare o la sua efficacia come mezzo per prevenire infortuni, ma la sua opportunità, soprattutto nel riscaldamento prima delle gare (cfr. sull’argomento: Cometti G., Ongaro L., Alberti G., Stretching e performance sportiva, Sds-Scuola dello Sport, 60-61 (parte prima), 62-63 (parte seconda); Turbanski S., Stretching e riscaldamento, Sds-Scuola dello sport, 65).
Alle varie ricerche che hanno dimostrato che l’allungamento passivo dei muscoli può diminuire l’espressione massima della forza nelle successive contrazioni muscolari isometriche, concentriche o eccentriche si è aggiunta una ricerca recente degli statunitensi A. G. Nelson, N. M. Driscoll, D. K. Landin, M. A. Young, I. C. Schexnayder, del Dipartimento di cinesiologia e del Dipartimento di atletica dell’Università statale della Luisiana di Baton Rouge (Nelson A. G., Driscoll N. M, Landin D. K., Young A., Schexnayder I., Acute effects of passive muscle stretching on sprint performance, Journal of Sports Science, 23, 2005, 449-454).
Con la loro ricerca gli Autori si sono posti l’obiettivo di stabilire se gli effetti negativi dello stretching passivo, da loro osservati in laboratorio, si sarebbero manifestati anche sul campo. Per questo hanno scelto come campione della loro ricerca undici velocisti e cinque velociste di livello nazionale statunitense, che dovevano realizzare uno sprint (con cronometraggio elettronico) di 20 m alla massima velocità dopo avere eseguito protocolli diversi di esercizi di stretching degli arti inferiori.
L’esperimento faceva parte del programma di allenamento del lunedì di ogni atleta (che prevedeva un lavoro sulle partenze dai blocchi) e il protocollo di ricerca prevedeva quattro modalità diverse di stretching, realizzate ciascuna in un giorno diverso, a distanza di una settimana. Per cui il periodo della ricerca fu di quattro settimane. I quattro protocolli di stretching prevedevano:
1. nessun esercizio di stretching (NS);
2. stretching di ambedue gli arti (BS);
3. stretching dell’arto anteriore nella posizione di partenza (FS);
4. stretching dell’arto posteriore nelle posizione di partenza (RS).
Nei protocolli BS, FS, e RS si usavano tre esercizi di stretching tipici degli sprinter, rispettivamenteper i muscoli posteriori della coscia, per il quadricipite e per i polpacci. Ogni esercizio veniva eseguito quattro volte, mantenendo l’allungamento per 30 s, con una pausa di 10 s tra ogni singolo esercizio e 20-30 s tra le serie. Dopo i dodici esercizi di stretching (3x4) veniva inserita una pausa di 5-10 min di riposo relativo, cui faceva seguito la prova di sprint. I risultati dimostrarono che se non vi era alcuna differenza significativa nei tempi di sprint nelle tre diverse modalità di stretching, i tempi della prova senza stretching erano significativamente (p < 0,05) migliori. I protocolli BS, FS, e RS provocavano un incremento dei tempi di circa 0,04 s, che, anche se possono sembrare pochi, rapportati sui 100 m possono rappresentare una differenza notevole, specie se si pensa che su questa distanza anche 0,04 s possono fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
Per spiegare questo risultato gli Autori ipotizzano che lo stretching rappresenterebbe una “intromissione” nel ciclo accorciamento-allungamento tale da spiegare le differenze da loro rilevate. E ne concludono che se lo stretching può rappresentare un importante forma di allenamento in molte discipline, nel riscaldamento pre-gara negli sport di forza e di potenza andrebbe evitato o almeno usato con grande cautela. Ad ulteriore conferma di quanto affermato negli articoli di Sds, che abbiamo precedentemente citato.
Sds, Scuola dello Sport - luglio/settembre 2005 - n° 66 - Trainer’s digest, pag. 46